Blockchain and freedom

Ovvero: blocchi, catene e libertà

“What is in mind is a sort of Chautauqua…that’s the only name I can think of for it…like the traveling tent-show Chautauquas that used to move across America, this America, the one that we are now in, an old-time series of popular talks intended to edify and entertain, improve the mind and bring culture and enlightenment to the ears and thoughts of the hearer”

(Robert M. Pirsig, Zen and the Art of Motorcycle Maintenance: An Inquiry Into Values).

Questa cosa che forse state per leggere (perché magari proprio adesso lascerete questa pagina per dedicarvi a qualcos’altro, forse assai più interessante) è più una sorta di Chautauqua, inteso come un approfondimento educativo a mio uso e consumo, che un approfondimento tecnico…

Quello che mi piacerebbe esplorare è il rapporto tra la tecnica e lo specifico di noi esseri umani, quel qualcosa che potremmo chiamare coscienza di sé, libertà (il fatto di essere un individualità) e responsabilità (il fatto di essere parte di una collettività, di un’umanità). Per far questo, vorrei prendere in considerazione la tecnologia della blockchain, anche perché più volte mia moglie mi ha chiesto di spiegarle il funzionamento di questa tecnologia.

Ma accanto alla mera spiegazione tecnica mi interessa fare a voce alta (beh, sarebbe meglio dire: “a testo scritto”) qualche ragionamento di tipo etico, cioè sullo specifico di quello che dovrebbe essere un comportamento umano.

Disclaimer…

Lo dico subito, anzitutto a mia moglie: in questo articolo non arriverò a spiegare nel dettaglio cosa sia una blockchain. Occorrerà un articolo successivo, in questo c’è giusto lo spazio per una premessa.

Cuore di mamma

Christine Lagarde è la presidente della BCE, la Banca centrale europea, lo sappiamo, ma è anche una madre (le due cose non sono alternative, certamente, ma lo dico perché non tutti i presidenti di banche centrali sono madri, alcuni non sono nemmeno padri). L’ho scoperto in questo articolo de il Post.

Durante un suo colloquio con un gruppo di giovani, le è stato chiesto un suo parere sulle criptovalute. Forse è stata una domanda posta un poco ingenuamente, o forse è stata posta con un intento un poco perfido: pare infatti che sia noto che Christine Lagarde abbia un’opinione molto negativa a riguardo di questa categoria di prodotti finanziari.

La presidente ha risposto alla domanda esponendo la sua opinione (che poi vedremo), ma pure, a richiesta della moderatrice dell’incontro, ha parlato della sua esperienza di madre.

Uno dei suoi figli le aveva confidato l’intenzione di investire nelle criptomonete: ella ovviamente ha tentato di dissuaderlo, ma a quanto pare, lui l’ha “completamente ignorata (royally ignored, l’inglese suona assai aristocratico, alla marchese del Grillo)”.
Poi però il ragazzo ha perso una gran parte del denaro investito e ha dovuto ammettere che la madre aveva ragione (“E non dire che non ti avevo avvertito!”, mi pare di sentirla, la presidente-mamma…).

D’altra parte la signora Lagarde ha sottolineato che era un diritto del figlio ignorare i suoi consigli (e ci credo, pare che il ragazzo sia già trentenne!).
Ma è proprio sulla questione “diritti” che mi pare ci possa interessare l’opinione della signora presidente a riguardo delle criptomonete. Aldilà che questo tipo di investimenti sia a carattere “altamente speculativo”, tanto che gli eventuali investitori si mettono a rischio di “perdere tutto” il capitale investito, Christine Lagarde dice che chiunque ha il diritto di investire il proprio denaro come vuole, speculando come vuole (questo è il capitolo “libertà”), ma le “persone non dovrebbero essere libere di partecipare in commerci e attività criminali” (e questo è il capitolo “responsabilità”).

Autorità di controllo?

Uno potrebbe chiedersi: ma chi stabilisce che il denaro che uno può investire come vuole sia di sua proprietà? Oppure: chi stabilisce se un commercio o un’attività sia criminale o no? E anche: chi regola i diritti/doveri tra un investitore e una piattaforma di investimento?

È ovvio che per il/la presidente di una banca centrale queste domande siano un po’ oziose: esistono gli stati sovrani, esistono le banche centrali di questi stati ed esistono organismi sovranazionali ai quali questi stati hanno delegato e conferito una parte della loro autorità.

Ma queste risposte non sono ovvie per personaggi come Satoshi Nakamoto, il leggendario creatore di Bitcoin, il primo a introdurre e implementare una blockchain, la tecnologia con la quale questa criptomoneta viene gestita.

Secondo Satoshi Nakamoto non ci dovrebbe essere la necessità di stabilire un’autorità centrale di certificazione e regolamentazione, che vigili sulle transazioni e sulla proprietà di un bene (nello specifico i bitcoin). L’idea di Satoshi Nakamoto è quella di delegare queste funzioni alla tecnologia della blockchain.

Illustrando il concetto per immagini, possiamo dire che una blockchain sia una sorta di libro contabile capace di autocertificarsi, protetto da ogni possibile frode tramite le tecniche crittografiche. La blockchain non ha neppure bisogno di un servizio centrale di archiviazione: la sua esistenza è garantita da un sistema peer-to-peer decentrato. Possiamo vedere una blockchain come un libro contabile blindato che viaggia sulla rete telematica mondiale.

blockchain

No authority, no president

È abbastanza chiaro come un approccio del genere possa non piacere alla presidente di una banca centrale. In effetti la blockchain si propone di abolire la “banca centrale”, e questa cosa ha come corollario il togliere di mezzo un suo eventuale presidente…

La blockchain, proprio come farebbe un’autorità centrale, garantisce la non contraffazione delle transazioni e la certezza dell’attribuzione della proprietà di un bene. Ma lo fa in autonomia, senza un’entità di vigilanza. Questo la rende impenetrabile ad ogni ingerenza esterna e rende inviolabile le privacy dei suoi utenti.
Il fatto poi di essere distribuita su più nodi della rete mondiale la rende praticamente sempre disponibile e immune ai possibili sabotaggi di hacker malevoli. Pensiamo invece a una struttura dati archiviata sui computer di un centro di calcolo centralizzato, ad esempio presso una banca centrale: nel caso di sabotaggio informatico la struttura dati e i servizi ad essa connessi non saranno più disponibili.

La difesa del debole

Ma allora la signora Lagarde ha un’opinione così negativa a riguardo delle criptovalute solo perché mettono a repentaglio il suo ruolo?
Forse anche, ma non solo. Ovviamente.

Una blockchain rende inutile un’autorità centrale di controllo dal punto di vista della consistenza delle transazioni e delle certezza della proprietà del bene gestito (una criptovaluta, in genere). In questo senso quello che fa un’autorità centrale la blockchain lo fa in maniera più efficiente, e più attenta alle questioni della privacy.

Questo sarebbe sufficiente a chiudere il discorso se le blockchain non avessero a che fare con gli esseri umani… Una blockchain che gestisse le transazioni tra il mio frigorifero intelligente e il sistema automatico di distribuzione del mio supermercato di riferimento (in uno scenario utopico/distopico del futuro prossimo, al netto dell’impoverimento della classe media) non necessiterebbe di nessun altro sistema di controllo (purché l’algoritmo che presiede all’approvvigionamento sia stato progettato onestamente).

Christine Lagarde però ci mette in guardia da due cose: la possibilità di essere vittime del nostro stesso investimento e la possibilità di partecipare, in maniera più o meno cosciente, a commerci e attività criminali. In altri termini: la nostra interazione con la blockchain ci può convertire in vittime (il confine tra “investimento ad alto rischio” e “truffa” non è mai ben definito), oppure ci può far divenire complici di qualcosa che rende vittima qualcun altro.
Su questi problemi un’autorità di controllo ha qualche possibilità di intervenire. Dall’esterno di un sistema si può discernere il debole, la vittima, e decidere di intervenire a sua difesa (oppure di eliminarla, a volte le autorità centrali risolvono il problema così).

Una blockchain, essendo essa stessa il sistema, non ha alcuna possibilità di intervenire, non è progettata per farlo.

Penso di non sbagliarmi esprimendo questo concetto: “nessuna tecnologia si autoregola a livello etico”. Le tecnologie non sono fatte per quello, sono protesi del nostro corpo: un bastone, ad esempio, è il prolungamento del braccio, non è buono o cattivo in sé, la bontà o la malvagità derivano dal suo uso, cioè dalla coscienza che lo pilota.
La dinamite, se sei un minatore, è una gran portento, puoi scavare gallerie con meno fatica e più rapidamente. Però la dinamite si presta ad altri usi, certamente meno coerenti con la crescita e il progresso della vita umana.

Senza arbitro, senza stinchi

Tornando alla blockchain, questo strumento risolve parecchi problemi che riguardano la consistenza dei dati relativi a transazioni economiche, la trasmissione sicura di tali dati e la loro disponibilità. Però queste caratteristiche non possono farci credere di poter fare a meno di un’istanza di “coscienza” (chiamiamola così, se non vogliamo usare la parola “controllo”), cioè qualcosa che giudichi l’uso dello strumento a livello di intenzione, di atto e di conseguenza.
Quest’istanza di coscienza dovrebbe risiedere nell’individuo, ma sappiamo come questo non sia sufficiente. Alla fin fine occorre stabilire un’istanza di coscienza al di sopra dell’individuo, un’istanza collettiva, accettando i rischi che questa autorità possa poi rivelarsi autoritaria, corrotta e ingiusta.

Avete provato a giocare una partita di calcetto senza un minimo di arbitro: quanti dei partecipanti hanno potuto recarsi al lavoro il giorno dopo senza l’ausilio di stampelle?

Insomma, nell’attesa che l’umanità sia composta da esseri umani forniti di una coscienza assolutamente libera e responsabile, sarà necessario immaginare istanze di controllo che regolino le interazioni tra gli umani, assumendo il rischio che queste istanze possano essere imperfette, a rischio di corruzione, e forse tentate dall’autoritarismo.
Si tratta di proteggere il debole, di intervenire in suo soccorso, di fermare il prepotente, più che proteggere gli interessi qualcuno: c’è quindi un ruolo per la signora Lagarde, non c’è dubbio.

E la blockchain?

E la blockchain? vi chiederete voi.

La blockchain continua a viaggiare nell’universo telematico, inattaccabile, infrangibile, inesorabile, raccogliendo nuove transazioni e certificando la proprietà di beni assolutamente immateriali.

Ne parleremo in un prossimo articolo.

Stefano Deponti